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Alla base del presente studio c'è l'idea che l'abolizione della pena di morte sia stata avvertita prima nel campo letterario e artistico e dopo sul piano della scienza giuridica, essendo la vita umana stata consegnata alla pietà degli uomini e solo successivamente affidata alla fredda logica formale. Nella prima parte sono trattati alcuni aspetti giuridici e filosofici delle teorie della pena di morte e della sua abolizione, resi ancora più inquietanti dall'ansia civile di una lettera di Pietro Ingrao e da altre - inedite - di condannati, del braccio della morte. Nella seconda parte, anche nella necessaria prospettiva antropologica del problema, è analizzata la produzione letteraria di vari autori, come Hugo, Dostoevskij, Tolstoj, Camus e Sciascia. Così, il profilo dei personaggi, la descrizione delle emozioni e degli affetti più intensi della loro vita, fanno apparire l'assurdità della colpa e l'inesorabilità della pena come la strada che conduce all'abisso della disperazione.